Ciao, Paola. Puoi presentarti ai lettori del blog?
Buongiorno, sono Paola Panciroli, ho 28 anni e una laurea in filosofia che mi ha aperto la strada nel mondo dell’insegnamento e della divulgazione.
La mia passione per la filosofia è nata intorno ai 16 anni, ascoltando le prime lezioni in classe su Platone. Da quel momento ho deciso di portarla avanti, intraprendendo un percorso all’Università di Bologna che si è concluso nel 2016. I miei studi sono stati dedicati principalmente alla bioetica, alla storia della medicina ottocentesca e alla storia della psichiatria.
Dal 2016 ad oggi mi sono occupata di insegnamento nelle scuole superiori e presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, dove ho collaborato con la cattedra di bioetica dal 2017 al 2019. Mi sono dedicata, inoltre, a numerose attività di divulgazione nell’ambito bioetico, di storia della scienza e della medicina (articoli, recensioni, lezioni, caffè scientifici, attività laboratoriali).
Per Diego Fusaro fare filosofia significa usare paroloni a caso sperando che qualcuno ci caschi e creda che stia dicendo qualcosa di profondo. Per te, invece, cos'è la filosofia?
La formazione filosofica, per quanto oggi tenuta in scarsa considerazione, ha contribuito allo sviluppo di tre importanti aspetti della mia personalità: il pensiero critico e la capacità di vagliare le fonti; l’importanza della dimensione dialogica e della comunicazione, strettamente legate alla mia passione per la trasmissione di contenuti culturali; un approccio diacronico, basato sulla prospettiva storica ed interdisciplinare, a tematiche rilevanti di carattere medico e bioetico.
Questi tre aspetti si ritrovano nella ricerca di taglio storico svolta per la tesi di laurea magistrale, pubblicata in forma divulgativa nel volume 200 anni di omeopatia. Storia di un equivoco?, C1V edizioni, 2017.
Nel testo ho cercato di colmare una lacuna nel panorama storiografico italiano, caratterizzato perlopiù da pochi studi parziali, finalizzati a dimostrare storicamente un’efficacia dell’omeopatia non riscontrabile scientificamente.
Questo è importante ricordarlo: le prove disponibili dicono che l'omeopatia è una bufala.
Com’è noto, l’omeopatia è una pratica medica, non riconosciuta dalla comunità scientifica, fondata tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’’800 dal medico tedesco Samuel Hahnemann. I suoi pilastri sono il principio di similitudine (similia similibus curantur) e quello delle diluizioni infinitesimali. Il primo afferma che per ottenere la guarigione del paziente occorre somministrargli una sostanza in grado di provocare nel soggetto sano sintomi analoghi a quelli della malattia che s’intende curare.
Il secondo principio, invece, afferma che la sostanza curativa deve essere diluita in un rapporto di 1 a 100 con il solvente, per un massimo di 30 volte (limite ampiamente superato da alcuni seguaci di Hahnemann).
Ti sei occupata in particolare della diffusione dell'omeopatia in Italia. Puoi farci un riassunto di queste vicende?
La medicina omeopatica arriva in Italia, precisamente a Napoli, nel 1821. Di fronte agli esiti negativi della sperimentazione napoletana (1829) e delle successive sperimentazioni controllate di Parigi (1834) e di Lipsia (1837-1838), si accentua la diffidenza degli esponenti della comunità scientifica nei riguardi della presunta efficacia dell’omeopatia e dei suoi fondamenti teorici.
Nonostante ciò, la pratica terapeutica continua ad espandersi a macchia d’olio sulla penisola, trovando appoggio da parte di famiglie aristocratiche e ceti popolari. La sua ampia diffusione può essere compresa solo tenendo conto di una molteplicità di fattori.
Da una parte, i limiti della terapeutica allora praticata creano forti diffidenze verso la classe medica, alimentando il ricorso a rimedi alternativi a quelli della medicina accademica, di cui è un esempio il salasso, un metodo dissanguante invasivo e dannoso.
D’altra parte, i concetti di atomo e molecola, alla base della moderna chimica, si affermeranno solo a partire dal 1860, in seguito al Congresso Internazionale dei chimici di Karlsruhe. Se oggi, basandoci sulla costante di Avogadro, possiamo affermare con certezza che all’interno dei preparati omeopatici, oltre la dodicesima diluizione, non rimane nulla, lo stesso non potevano fare i medici della prima metà dell’Ottocento.
L’espansione dell’omeopatia è quindi favorita da alcuni limiti oggettivi (conoscitivi e terapeutici) della medicina accademica, che risultano ancor più evidenti in occasione delle ondate epidemiche di colera.
Ad ogni modo, sul finire del XIX secolo si verifica un ridimensionamento della tanto discussa pratica medica, dovuto alla nascita e allo sviluppo della medicina scientifica e della farmacologia.
Delle numerose smentite ricevute dalla medicina omeopatica nel corso del tempo non sembra tener conto l’attuale legislazione, che, a livello europeo, ha equiparato i preparati omeopatici a veri e propri medicinali, consentendo loro di godere di uno statuto giuridico d’eccezione. Per essere immessi in commercio, infatti, ai medicinali omeopatici non viene richiesta alcuna prova di efficacia terapeutica (si parla di registrazione semplificata).
Fai bene a sottolinearlo: in effetti quello della registrazione semplificata è un privilegio che non ha senso. Se non ci sono prove che siano efficaci, non dovrebbero essere definiti “medicinali”.
Inoltre, non meno problematica è la presenza dell’omeopatia nella sanità pubblica (basti pensare al caso della regione Toscana).
In questo senso, la prospettiva storica adottata può contribuire a chiarire la natura dell’omeopatia, il contesto in cui essa è nata e le ragioni alla base della sua sopravvivenza, oltre a individuare le differenze con la medicina scientifica e il metodo da essa seguito. Lo scopo ultimo rimane quello di rendere le conoscenze storiche strumento utile per muoversi nella società odierna, promuovendo la comprensione di un fenomeno ancora ampiamente presente al suo interno.
Nella foto qui sopra sei a un congresso dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia. Come dice la scritta che si vede sullo sfondo, i valori della Resistenza, della Costituzione, della democrazia, dell'antifascismo sono sempre fondamentali.
La foto è al sedicesimo congresso dell'Anpi (maggio 2016). Un'esperienza per me molto significativa: ho avuto il piacere di essere invitata come relatrice a fianco di figure come Susanna Camusso, Carlo Galli, Raffaele Mantegazza (per citarne alcune).
Ero lì per rappresentare la componente giovanile che porta avanti come propri punti di riferimento i valori dell'antifascismo. L'antifascismo, infatti, rappresenta quell'universo di principi negati dalle dittature e riaffermati nella Costituzione: libertà, uguaglianza, solidarietà, giustizia sociale. La resistenza è stata l'esperienza fondamentale per la loro elaborazione. Se la democrazia è la nostra casa comune, i principi dell'antifascismo rappresentano le fondamenta. Sono veri e propri fari che dovrebbero guidare il pensiero e l'azione non solo dei legislatori, ma di ogni singolo cittadino.
In omaggio al tuo scetticismo (che si può apprezzare nelle tue risposte) e alla tua bellezza (che si può ammirare nelle foto), la pagina di Miss Scettica ti ha attribuito il titolo per il 2017 (l'assegnazione è di questi giorni, ma è stata simbolicamente riferita al 2017, l'anno in cui è stato pubblicato il tuo libro). Cosa pensi di questo riconoscimento?
Ringrazio l’ideatore di questa pagina per avermi eletta (retroattivamente) Miss Scettica 2017. Trovo sia un modo divertente e leggero per comunicare contenuti interessanti e per promuovere la divulgazione scientifica.
Grazie a Paola per questa intervista e per le foto. Se siete utenti di Facebook, date un like alla pagina del suo libro e a quella di Miss Scettica. E ricordate che l'omeopatia è una bufala.
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